La storia di come il disordine non sia presente solo nelle nostre camere.

(A cura di Matteo Chiappini, Università di Pisa)

Da sempre siamo affascinati dall’ordine e lo ricerchiamo nella vita di tutti i giorni. Può essere per estetica o per efficienza, ma in generale ci piace quando tutto sta esattamente al proprio posto. Anche alla Natura spesso imponiamo mentalmente il concetto di ordine, e ci aspettiamo di trovarlo, in qualche forma, a tutti i livelli. Forse è proprio per questo motivo che, dal punto di vista teorico, preferiamo studiare dei sistemi “limitati” dal concetto stesso di ordine, che inoltre risultano più semplici da trattare dal punto di vista del calcolo. La natura è però molto più varia e ci accoglie, fortunatamente, con una vastissima categoria di materiali: i sistemi disordinati.

Ordine

Per capire i sistemi disordinati, dobbiamo prima comprendere un po’ meglio cosa sia l’ordine. Per poter essere considerato fisicamente ordinato, un sistema deve rispettare alcune simmetrie, cioè trasformazioni che mandano il sistema in sé stesso. I casi più semplici sono traslazioni e rotazioni totali. Dato un sistema, le combinazioni permesse di queste due simmetrie sono molto poche e corrispondono alle possibili tassellature regolari di una superficie (ricoprimento del piano con poligoni o altre figure che non si sovrappongono): troviamo quindi simmetrie triangolari, quadrate ed esagonali. È possibile osservare le simmetrie di un sistema attraverso tecniche di diffrazione, fondamentali in cristallografia. Questo porta a una nuova definizione applicativa di ordine: “un sistema con ordine a lungo raggio ha un pattern di diffrazione discreto, cioè composto da punti isolati.”

  • live_help Diffrazione

    La diffrazione è uno strumento molto importante nello studio della struttura dei cristalli. Viene inviato un fascio di particelle sul campione, e sfruttando le proprietà ondulatorie di queste si avrà un effetto diffusivo sulle componenti del materiale analizzato. Le particelle diffuse vengono poi raccolte su uno schermo dove si creano punti di interferenza costruttiva (impressionati) o distruttuva (scuri), in modo analogo all’esperimento della doppia fenditura di Young. Le strutture interne del campione vanno a definire in modo univoco il pattern che verrà osservato, noto come pattern di diffrazione. Esistono diversi metodi per sfruttare questo processo, che si basano su tecniche diverse, come la diffrazione di elettroni (basata sull'interferenza di un fascio di elettroni con il materiale cristallino), la diffrazione di neutroni (analoga alla precedente ma con fascio di neutroni) e le tecniche WAXS/SAXS (che fanno uso di scattering di raggi X a grandi e piccoli angoli).

Schema apparato sperimentale di diffrazione (il fascio e il sensore dipendono dalla tecnica utilizzata).

Il pattern di diffrazione rispetta le simmetrie del materiale, che dunque ne limitano il numero massimo possibile, almeno per simmetria angolare. Esistono però strutture che danno figure di diffrazione formate da picchi discreti, ma che corrispondono a simmetrie “proibite” per sistemi periodici. Alcuni esempi di sistemi di questo tipo sono:

- i quasicristalli: ovvero strutture con simmetria di traslazione parziale. In questo caso è sempre possibile prendere una porzione finita di spazio e sovrapporla ad un’altra, ma questa simmetria non vale mai per traslazione totale. Anche questa simmetria corrisponde ad una possibile tassellatura di una superficie, nota come tassellatura di Penrose.

- i cristalli non periodici: nei quali i singoli punti del reticolo vengono traslati per un fattore non razionale, perdendo perciò la periodicità.

A destra è riportato il pattern di diffrazione di un quasicristallo, messo a confronto con quello di un cristallo mostrato a destra (source: Crystal polymorphism in TmPd3S4 by J. Kitagawa, R. Yada, M. Ichihara & M. Ishikawa, is licensed under CC BY 3.0). Nel secondo caso i picchi sono disposti su un reticolo quadrato (simmetria cubica), mentre nel primo si ha una simmetria rotazionale di ordine 10, vietata per un cristallo “normale”.

  • live_help Tassellatura di Penrose e quasicristalli

    La tassellatura di Penrose è un esempio di tassellatura aperiodica. In questo caso aperiodico significa che spostando la tassellatura di una distanza finita, senza applicare rotazione, non si ricrea la stessa tassellatura. Tuttavia resta una simmetria di riflessione e una simmetria per rotazione a cinque movimenti, ovvero per rotazioni con angolo $\frac{2 \pi}{5}$. Questo esempio è molto importante in quanto è una struttura che si trova nello studio dei quasicristalli e della loro crescita.

Tassellatura di Penrose (sx) / Superfici dell’energia potenziale di una superfici di un quasi cristallo di alluminio-palladio-manganese (dx).

Disordine: “Mancanza o turbamento dell’ordine”

Questa è la definizione data dal dizionario di disordine, ed è piuttosto adatta ai nostri scopi, ma va a coprire due fenomeni distinti. Se si parla di “turbamento” dell’ordine è necessario che questo debba preesistere nel materiale considerato in qualche forma: appare dunque chiaro che le proprietà dei materiali “turbati” differiscano poco da quelle dei sistemi ordinati. In questo caso il disordine può essere studiato come piccola perturbazione del sistema ordinato.

Questo tipo di sistemi può essere definito come disordine cellulare, cioè un sistema nel quale si identifica un reticolo ordinato ma nei punti di reticolo è identificata una grandezza che cambia in modo casuale da cella a cella. Esistono alcuni materiali che presentano intrinsecamente questo tipo di disordine, come i vetri di spin o i fullereni, mentre si può trovare in praticamente tutti i cristalli sotto forma di impurezza (un atomo diverso inserito nel reticolo) e di agitazione termica (ogni atomo è spostato dalla sua posizione di equilibrio in modo casuale). La figura di diffrazione in questi casi è ancora a punti isolati, ma allargati, cioè gli angoli permessi presentano una varianza non nulla.

La mancanza vera e propria di ordine, invece, porta a quello che è noto come disordine topologico, cioè legato alla conformazione stessa del materiale. Il caso più evidente è quello di un gas perfetto, dove la posizione di ogni particella è indipendente dalle altre.

Un caso più realistico (e complesso) è quello dei liquidi. Questi sono sistemi più compatti dove, diversamente dai gas, le distanze caratteristiche tra le molecole diventano dell’ordine delle loro dimensioni. Ciò comporta un certo livello di impacchettamento, che però presenta una struttura a gusci concentrici. Possiamo pensare ad un semplice modellino a sfere dure: queste si posizioneranno automaticamente in un guscio di 12 sfere intorno a quella centrale e poi un altro più grande, e così via. La correlazione di posizione diminuisce con la distanza, portando il sistema ad essere disordinato su grandi scale, ma mantenendo un struttura ordinata a corto raggio.

Rappresentazione 2D dell’impacchettamento nei liquidi (Matteo Chiappini).

Risulta più facile studiare lo stato solido disordinato comprendendo il processo stesso di solidificazione dallo stato liquido. Questa non si può pensare come a una classica transizione di fase, che porterebbe a una semplice cristallizzazione (ovvero un solido ordinato).

Consideriamo un liquido all’equilibrio meccanico, vale a dire a riposo. Se raffreddiamo il campione adiabaticamente, esso cristallizzerà rimanendo all’equilibrio (transizione di fase classica), mentre se il processo è abbastanza veloce (trasformazione non adiabatica) esso finirà fuori dall’equilibrio e sarà necessario un certo tempo per tornarvici. Questo tempo, noto come tempo di rilassamento, aumenta con la viscosità, e quindi al diminuire della temperatura. Quando i tempi di rilassamento diventano dell’ordine della vita del nostro pianeta, otteniamo materiali solidi sebbene le loro particelle siano posizionate come in un liquido. Questi sono noti come vetri e questa transizione continua viene chiamata transizione vetrosa. Si possono raggiungere concetti analoghi anche nel caso di materiali polimerici, nei quali però la fenomenologia è piuttosto diversa (e non ci addentreremo nella questione).

Il processo di vetrificazione è continuo e senza cristallizzazione, perciò questi materiali possono essere modellati con le forme volute, basta fissare la forma quando è ancora fluido e raffreddare. Ciò permette di creare superfici lisce a piacimento(come quelle di un liquido). Queste proprietà rendono i vetri perfetti per processi di replicazione e creazione di forme specifiche. In aggiunta, il fatto che essi non abbiano assorbimento nel visibile legato al reticolo, permette loro di essere molto trasparenti e di essere utilizzati per applicazioni ottiche come lenti, specchi e altre componenti. Inoltre i vetri e polimeri sono interessanti anche per la costruzione di oggetti di uso quotidiano, come vetri di porte e finestre, guaine per cavi elettrici, pellicole alimentari, contenitori e utensili da cucina e tanto altro. Tutti questi esempi sono sistemi disordinati, complicati da trattare dal punto di vista teorico, ma di indiscutibile utilità.

Per comprendere meglio il panorama odierno abbiamo intervistato un fisico teorico e ricercatore nell’ambito: il Professore Associato Dino Leporini dell’Università di Pisa, che tiene il corso “Sistemi Disordinati Fuori Equilibrio”.

Intervista a Dino Leporini

M: Buongiorno professore, innanzitutto per curiosità, quale è il suo background e per quale motivo si è interessato a questo ambito?

D: Nasco come sperimentale, con una forte inclinazione alla formulazione di modelli fenomenologici. Il mio ambito di lavoro è stato sempre quello della soft matter: liquidi, polimeri e solidi vetrosi. La Tesi di Laurea ha riguardato uno studio dell’ordine nei cristalli liquidi tramite spettroscopia di risonanza magnetica elettronica (l’analogo della spettroscopia NMR con uno spin elettronico al posto di uno nucleare). La Tesi di Perfezionamento presso la Scuola Normale ha esteso questi studi a liquidi viscosi e solidi amorfi. Mi sono interessato alla soft matter perché qui si trovano molti esempi di sistemi disordinati fuori dall’equilibrio termodinamico. I temi del disordine e dell’assenza di equilibrio sono affrontati con difficoltà dalla fisica. Quindi la soft matter costituisce un’ottimo campo per comprenderli meglio.

M: Quali sono i principali obiettivi che attualmente si vogliono raggiungere?

D: Come ho detto, la Fisica è in difficoltà quando deve interpretare le conseguenze della presenza del disordine e dell’assenza di equilibrio. Nonostante numerosi sforzi, relazioni con forte carattere universale stentano ad emergere, specialmente da principi primi. Dal punto di vista teorico sembra quasi che l’apparato formale sia ancora incompleto o eccessivamente complesso - pur in presenza di notevoli successi in campi affini come quello dei vetri di spin - mentre in campo sperimentale siamo più avanti con ottimi risultati che hanno chiarito la natura eterogenea della dinamica nei sistemi disordinati. Oltre agli studi teorici e sperimentali, nel corso degli ultimi trent’anni la simulazione numerica a livello microscopico ha inoltre fornito contributi sempre più importanti grazie allo sviluppo di algoritmi di tipo Molecular Dynamics e al miglioramento delle prestazioni dell’hardware. Ormai le predizioni offerte dalle simulazioni si confrontano molto bene con i risultati sperimentali.

M: In che modo viene fatta ricerca nell’ambito, sia dal punto di vista teorico che sperimentale?

D: Gli approcci teorici sono di solito di tipo fenomenologico. Si contano sulle dita di una mano i tentativi da principi primi. Si fa uso di meccanica statistica, teoria dei campi - specialmente in fisica dei polimeri - o approcci semplificati in cui si trascura il dettaglio microscopico. Le simulazioni permettono invece di partire da hamiltoniane ormai molto accurate e seguire l’evoluzione dei sistemi per alcuni microsecondi nei casi più fortunati. Le dimensioni dei sistemi, tipicamente $\sim 10^4$ particelle, raggiungono anche il milione di particelle in casi opportuni. Sperimentalmente i sistemi disordinati si studiano con una grande varietà di tecniche a seconda dell’intervallo temporale e della scala di lunghezza di interesse. È infatti un fatto ormai chiaro che la fisica dei sistemi disordinati si svolge su scale spazio/temporali molto diverse e tra loro interagenti. A puro titolo di esempio, ricordo le spettroscopie ottiche e infrarosse per le proprietà vibrazionali, la dielettrometria e le tecniche di risonanza nucleare per i rilassamenti veloci (MHz-THz) e lenti (millisecondi o più) e le tecniche di scattering elastico e anelastico di neutroni e di radiazione EM a varia frequenza.

M: Su quali problemi state attualmente lavorando personalmente, e in generale qui a Pisa?

D: Il mio gruppo sta affrontando tre tematiche tramite simulazioni numeriche:

  1. La correlazione tra dinamiche vibrazionali ultraveloci (picosecondo) e rilassamento ultralento (ore, anni), un fenomeno inaspettato oggetto di indagine da poco più di una decina di anni (L. Larini, A. Ottochian, C. De Michele & D. Leporini, “Universal scaling between structural relaxation and vibrational dynamics in glass-forming liquids and polymers”, Nature Phys 4 (2008) 42–45);
  2. Le proprietà vibrazionali dei vetri (A. Giuntoli & D. Leporini, “Boson Peak Decouples from Elasticity in Glasses with Low Connectivity”, Phys. Rev. Lett. 121 (2018) 185502);
  3. I comportamenti non-newtoniani dei polimeri (A. Giuntoli et al., Science Advances, in stampa).

Sperimentalmente ci siamo occupati degli stati disordinati dell’acqua (D. Banerjee, S. N. Bhat, S. V. Bhat & D. Leporini, “ESR evidence for 2 coexisting liquid phases in deeply supercooled bulk water”, Proceedings of the National Academy of Sciences Jul 2009, 106 (28) 11448-11453).

Sui sistemi disordinati c’è parecchia attività sperimentale nel Dipartimento di Fisica con il Prof. Dario Pisignano (microfluidica, stampa 3D, nanopatterning, electrospinning technologies for organic materials, polymer nanofibers) e il Prof. Simone Capaccioli (vetri, polimeri e sistemi bio).

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